I risultati di uno studio coordinato dal Policlinico di Milano in collaborazione con la Fondazione Mario Negri Sud e l’Istituto Mario Negri: coinvolti 1.800 pazienti con sepsi grave e shock settico e 100 terapie intensive italiane.
"L’utilizzo di albumina in modo mirato in pazienti con sepsi grave e shock settico dei reparti di terapia
intensiva potrebbe significare salvare la vita a 5-6 mila persone in più ogni anno in Europa". Questo è,
tradotto in termini di salute pubblica, il risultato che molto sinteticamente riassume il contributo scientifico
di uno studio pubblicato oggi sul New England Journal Medicine, la più prestigiosa rivista medica
internazionale, a cui ha contribuito in modo determinante il Laboratorio di Farmacoepidemiologia,
coordinato dalla dottoressa Marilena Romero. Allo studio ALBIOS (ALBumin Italian Outcome Sepsis),
coordinato dal professor Luciano Gattinoni, Direttore del Dipartimento di emergenza-urgenza della
Fondazione Ca’ Granda Policlinico di Milano e del Dipartimento di Fisiopatologia Medico-Chirurgica e dei
Trapianti dell’Università degli Studi di Milano, hanno collaborato oltre alla Fondazione Mario Negri Sud,
l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri e l’ateneo di Milano-Bicocca.
Lo studio, che è stato possibile grazie ad un finanziamento dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) per
la ricerca indipendente, ha visto la partecipazione di 100 Reparti di Terapia Intensiva e Rianimazione
distribuiti su tutto il territorio nazionale, i cui responsabili hanno partecipato, senza alcun compenso
economico, includendo oltre 1800 pazienti con diagnosi di sepsi grave e shock settico e costituendo una
rete collaborativa di cura-ricerca che non ha eguali in altri Paesi.
L'albumina è una proteina presente naturalmente nel sangue, e svolge funzioni essenziali: ad esempio
regola la corretta distribuzione dei liquidi corporei, mantiene l'equilibrio tra le sostanze che si
distribuiscono dal sangue ai tessuti e viceversa, e ha proprietà anti-infiammatorie. La sepsi, invece,
avviene quando un'infezione da microorganismi patogeni 'invade' il circolo sanguigno e quindi può
diffondersi a tutti gli organi e tessuti; nei casi più gravi porta allo shock settico, che a sua volta può
provocare l'insufficienza di diversi organi, e la morte nel 50-60% dei casi. Nei pazienti con sepsi la
concentrazione di albumina è in genere diminuita: iniettarla, quindi, potrebbe migliorare il decorso della
malattia. Per più di 20 anni, però "le condizioni con cui utilizzare l'albumina sono state un aspetto molto
dibattuto e controverso - spiegano gli autori dello studio - sia per la comunità scientifica che per le
autorità regolatorie. Studi mirati a valutazioni sistematiche arrivano addirittura a segnalarne un rischio, più
che un beneficio, e a renderne perciò inaccettabili i costi".
clinici hanno diviso in pazienti in due gruppi: al primo sono stati somministrati i cristalloidi, soluzione di
acqua e sali per reintegrare il volume di liquidi del paziente; al secondo gruppo è stata somministrata
albumina in aggiunta ai cristalloidi. Già dopo sette giorni di terapia, il gruppo che aveva ricevuto anche
l'albumina aveva una pressione sanguigna migliore e un minor accumulo di liquidi nei tessuti. Nelle
settimane seguenti, inoltre, "abbiamo verificato che la sopravvivenza dei due gruppi inclusi nello studio
era simile. Abbiamo però anche evidenziato un miglioramento della mortalità pari al 6-7% nei casi con
shock settico, quelli più gravi, trattati con albumina - riportano gli autori - un risultato straordinario per una
condizione clinica tanto a rischio, e che apre la strada ad un'indicazione nuova".
In Europa i pazienti con una diagnosi di sepsi grave o di shock settico sono il 15-20% di quelli ricoverati
nei reparti di rianimazione. In Italia queste patologie colpiscono almeno 16 mila persone, che arrivano a
120-200 mila a livello europeo. Il progetto - spiegano i ricercatori della Fondazione Mario Negri Sud e
dell’Istituto Mario Negri di Milano - ha anche permesso la creazione di una delle più ampie, e mai
realizzate, banche dati con campioni biologici dei pazienti con sepsi. Le analisi già effettuate hanno
permesso di seguire l’evoluzione dello shock nel singolo paziente e di caratterizzare nuovi marcatori di
rischio, che saranno sicuramente oggetto di nuove ricerche collaborative anche a livello internazionale".