“La storia ci mostra come le imprese a proprietà familiare creino occupazione, crescano più delle altre tipologie di aziende, registrino una redditività più alta di altre forme societarie, abbiano un rapporto di indebitamento più basso e spesso siano anche più longeve. Con queste premesse è facile dire che le imprese familiari costituiscono la spinta dorsale dell’economia italiana e abruzzese”, il Presidente di Fi.R.A., Giacomo D’Ignazio, riporta così l’attenzione su questa forma di imprenditoria privata e che anche in Abruzzo è caratterizzata in prevalenza da imprese a controllo individuale/familiare.
Secondo i dati provenienti dal Report Abruzzo 2019 dell’Istat (l’ultimo realizzato) le imprese abruzzesi con 3 e più addetti, controllate da una persona fisica o famiglia, sono circa 16.694, ossia il 75,7% del totale (un dato anche più elevato di quello nazionale, pari al 75,2%). Su base provinciale la quota di questa tipologia di imprese presenta il valore minimo nella provincia di Teramo (73,1%) e il valore massimo in quella di Pescara (77%). L’importante tradizione manifatturiera regionale, che conta 22.000 piccole e medie imprese e 200.000 lavoratori e lavoratrici, è costituita in ottima parte da imprese a trazione familiare, che molto poco fanno ricorso a manager esterni. Una scelta questa che differenzia il modo di condurre l’azienda da parte delle famiglie imprenditoriali italiane e abruzzesi rispetto alle loro colleghe europee: considerando le sole imprese dai 10 addetti in su, in Abruzzo il soggetto responsabile della gestione è nel 73,7% dei casi l’imprenditore o socio principale/unico e nel 21,5% un membro della famiglia controllante.
La stessa capacità di reagire alla crisi legata alla pandemia e tornare a correre verso il futuro è stata nei mesi scorsi oggetto di studio di Fabula, il Family Business Lab della Liuc – Università Cattaneo (laboratorio attento verso il ruolo delle giovani generazioni, il cambiamento strategico, l’innovazione, l’internazionalizzazione, le ristrutturazioni post-crisi), che analizzando l’impatto della pandemia durante il 2020 ha evidenziato come questa forma d’imprenditoria si stia rivelando più solida e stabile rispetto a quella non familiare. “Pensiamo, infatti, - afferma D’Ignazio - a quello che può essere l’obiettivo dell’impresa familiare: raggiungere una dimensione media che le permetta di strutturarsi con una serie di funzioni e creare valore per se stessa e per il suo territorio.
Lo studio di Fabula, proprio in relazione alla crisi generata dalla pandemia, ci fa riflettere su alcuni aspetti favorevoli che contraddistinguono queste aziende e che ci rendono positivi nell’affrontare il futuro”. Infatti, seppur il calo della domanda, incidendo sui fatturati e sui redditi 2020, abbia coinvolto il 60% di esse, queste hanno mostrato punti di forza rilevanti: meno problemi di liquidità, minore necessità di attuare azioni di modifica della clientela o del prodotto, più pronta attuazione dello smart working, attesa di un maggiore aumento del fatturato estero nel corso del 2021 rispetto alle imprese non familiari.
Il panel analizzato nello studio ha coinvolto 182 imprese italiane, Pmi con un fatturato inferiore ai 50 milioni di euro, piccole o micro imprese dislocate in tutto il Paese e appartenenti a più settori - metalmeccanico, alimentari/bevande, tessile/abbigliamento, plastica e gomma -, di cui solo l’86% erano imprese familiari. Per il 75% di esse la crisi attuale non rappresenta una minaccia alla sopravvivenza e può essere vista come una opportunità di miglioramento. Come sottolinea il Report 2019 dell’Istat storicamente la larga maggioranza delle aziende familiari vede nella difesa della propria posizione competitiva uno dei principali obiettivi strategici: tra quelle con più di 10 addetti, la quota che indica tale obiettivo gestionale fra quelli da perseguire è in Abruzzo l’84,6%; seguono l’ampliamento della gamma di beni e servizi; l’accesso a nuovi segmenti di mercato e l’attivazione di collaborazioni interaziendali; fino all’espansione dell’attività all’estero.