di Maria Pia Zaurito
11 LUGLIO 2012. Grande filosofo e uomo politico, l’abruzzese Benedetto Croce agli inizi del Novecento ha pubblicato su giornali e riviste i suoi articoli, senza nascondere mai una propria ambivalenza nei riguardi del giornalismo. Secondo l’autore, gli scritti giornalistici appaiono per molti aspetti difettosi, perdendo in efficacia e validità una volta trascorso il giorno: l’autore afferma dunque che il giornalismo non rientra nel settore dell’arte e arriva perfino a condannarlo insieme alle sue forme in uso. E proprio ai ragazzi italiani laureati in lettere e filosofia che sono appena usciti dall’Università e che si trovano davanti a un bivio riguardante il proprio futuro, Croce consiglia di inculcare loro la strada della scuola cioè delle altre professioni, escludendo quella giornalistica. Nelle sue parole, infatti, quei giovani, prendendo la via del giornalismo, non sono in grado di affrontare uno studio penoso e prolungato e perdono l’amore per la diligenza e l’esattezza. Tuttavia, lo scrittore, dopo un’esperienza e una competenza tecnica ottenuta sul campo, attua un capovolgimento di pensiero, intravedendo nel mestiere della carta stampata una ricerca della verità, un’osservazione e una guida per la vita quotidiana. Per il filosofo abruzzese il giornalista, inoltre, deve essere consapevole delle difficoltà cui va incontro, resistere all’insidia rappresentata dal dilettantismo e non trattare problemi per i quali non è preparato. Pur essendo un intellettuale molto complesso e per certi versi ambiguo, Croce è stato e rimane ancora oggi un punto di riferimento autorevole per la cultura e la critica italiana del Novecento ma soprattutto un indiscusso maestro di libertà e razionalità, capace di intervenire in ogni campo del sapere.