di Maria Pia Zaurito
24 LUGLIO 2012. Più conosciuto all’estero che in Italia, lo scrittore Ignazio Silone, sin da giovane e in particolare a metà del novecento, ha sempre lottato contro ogni forma di povertà e ingiustizia per una società migliore e libera. Nei suoi scritti giornalistici è evidente il riferimento ai ricordi della sua adolescenza e soprattutto al legame con la sua terra d’origine martoriata da tante sofferenze e prevaricazioni. È proprio Pescina dei Marsi, sua città natale, che lo ispira a scrivere romanzi e articoli di grande valore e intensità. Pur impegnato politicamente, Silone non rinuncia, infatti, a parlare del popolo abruzzese, composto da contadini con un’indole montanara e una fede ben radicata. Inoltre, si sofferma a descrivere nei minimi particolari le feste popolari e quelle religiose, raccontando i costumi e le usanze della tradizione locale. Il ritorno alla terra natìa, tuttavia, è vissuto dallo scrittore con tristezza e distacco poiché, non essendo riconosciuto dalla sua gente, è consapevole di non farne più parte: guarda il suo paese da lontano e dall’alto senza agire, tanto da sembrargli un mondo estraneo e indifferente.Secondo l’autore, il ceto contadino deve prendere atto della propria condizione di inferiorità e marginalità al fine di riscattarsi attraverso una forza morale e civile non più imposta dai ricchi e da coloro che detengono il potere: la sua è una posizione critica e allo stesso tempo drammatica nei confronti della società nel suo complesso.Sembra quasi che Silone voglia dar vita a una rivoluzione all’interno dell’animo umano senza l’uso delle armi con lo scopo di smuovere le coscienze e indurre il popolo arretrato a svilupparsi e progredire. Il sentimento di pietà e solidarietà verso gli umiliati e i perseguitati della sua terra diviene pertanto tangibile e assume notevole importanza non solo nella sua opera di scrittore e uomo politico ma anche nella propria vita sociale e culturale.